venerdì, dicembre 31, 2004

Tsunami: come salvare i terremotati senza spendere un euro

"Rinuncia alle feste" "Manda un SMS" "Fai una donazione" "Il ministro si dimetta". Decido di spegnere la TV, inizia a confondermi. Come al solito le intenzioni sono ottime, ma - mi chiedo - come possiamo fare qualcosa di veramente significativo di fronte ad un'apocalisse così spaventosa ? Accendo il PC.

I danni sono riassunti da cifre a nove zeri (di euro) e difficilmente i nostri piccoli contributi potranno far qualcosa di più che regalarci - per l'inizio del nuovo anno - una coscienza pulita a buon mercato. C'è bisogno di uno sforzo epico per salvare 5 milioni di sopravvissuti che rischiano di morire di fame [1]. Continuo a pensare, una soluzione ci dovrà pur essere.

Voglio sapere cosa dicono gli economisti. Sono loro i tecnici delle cifre, staranno sicuramente lavorando a risolvere il dramma dei superstiti e dei senzatetto con l'autorevolezza scientifica di chi sa rendersi conto degli ordini di grandezza in gioco. L'esperto della J. P. Morgan mi rassicura: lo tsunami (più di 130.000 morti) ha fatto molti meno danni della SARS (775 morti) [2]. Quello dell'Institute for International Economics mi spiega che in realtà trattasi non di disastro ma di manna (dal mare): servirà a riavviare l'economia dei paesi colpiti, e in fin dei conti questa tragedia umana sarà stata un ottimo affare [3].

Senza parole. Devo fare da me. Spengo il PC e accendo il cervello. Mi ricordo allora di quel lungo articolo-denuncia [4] di Alessandro Penati apparso su Repubblica, e ripreso dall'ADUSBEF in una dichiarazione del presidente Lannutti [5]. Il fatto è questo: la Banca d'Italia è rimasta praticamente l'ultima banca centrale al mondo a tenere nei suoi forzieri enormi quantità di oro, proprio come si faceva secoli fa. In pratica ora solo a via Nazionale c'è circa un decimo di tutte le riserve auree del globo. E i lingotti giacciono lì, indisturbati. Ovviamente non servono più a nulla. Di qui la denuncia di "Repubblica" ed ADUSBEF: è una follia continuare a tenere tanta ricchezza senza renderla utile in alcun modo, anche perchè vale circa 26 miliardi di euro.

Leggo che in Asia ci sarà bisogno - per la ricostruzione - di "billions of dollars" [6]. Quindi basterebbe vendere una parte dell'oro conservato da Bankitalia per finanziare interamente la rinascita di luoghi che quasi tutti dimenticheremo dopo aver donato lo stretto necessario per gli aiuti di primissima necessità.

Un ultimo dettaglio: quell'oro non è di Bankitalia ma di noi cittadini. Infatti è stato accumulato perchè l'Italia, per tanti anni, ha consumato meno di quello che ha prodotto: una specie di debito pubblico al contrario. Mi chiedo: perchè non dare mandato urgente al nostro servitore Antonio Fazio di donare i lingotti alle famiglie disastrate del sud-est asiatico ? Scriveremmo una pagina di storia, ed entreremmo nei cuori di tutti i cittadini del mondo per gli anni a venire. Nel momento in cui gli americani fanno i tirchi [7] potremmo dirci orgogliosi di essere "Italiani".


sebastiano scròfina
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[1] http://tinyurl.com/5xbp8
[2] http://news.bbc.co.uk/1/hi/business/4134289.stm
[3] http://www.npr.org/templates/story/story.php?storyId=4250603
[4] http://tinyurl.com/4aawp
[5] http://it.biz.yahoo.com/041224/2/321g0.html
[6] http://tinyurl.com/5l3aa
[7] http://www.centomovimenti.com/2004/dicembre/28_powell.htm

Quei no di Bankitalia alle vendite di oro

L'articolo di Alessandro Penati apparso su in prima pagina su "Repubblica Economia" venerdì 24 dicembre 2004.



Clicca sull'immagine per ingrandirla. Qui trovi anche il testo.

mercoledì, dicembre 29, 2004

Adusbef attacca Bankitalia su oro e signoraggio

ROMA - "Il debito pubblico italiano, uno dei più elevati del mondo e il più alto d'Europa, è pari a 24 mila euro a cittadino (neonati compresi). Potrebbe essere ridotto se il Governatore di Bankitalia, approfittando del rialzo dell'oro, vendesse le riserve auree come fanno la maggior parte delle banche centrali europee".

Lo afferma Elio Lannutti (nella foto), presidente dell'Adusbef, l'associazione dei consumatori. "Le riserve auree italiane, pari a 79 milioni di once, dalle quali si potrebbero ricavare agli attuali prezzi di mercato ben 26 miliardi di euro, equivalenti al 30% di tutte le privatizzazioni fatte, non sono della Banca d'Italia, ma dei cittadini, che le hanno risparmiate consumando meno di quanto sia stato prodotto". Nel 1987 - prosegue Lannutti - "il Canada ha iniziato a vendere riserve per 20 milioni di once, seguita da Australia, Austria, Belgio, Olanda, Portogallo e Regno Unito, con 75 milioni, dalla Svizzera, nel 2002 con 39 milioni. Non si capisce come mai la Banca d'Italia, terzo Paese al mondo per riserve dopo Stati Uniti e Germania, si ostini a conservare nei suoi forzieri 79 milioni di once, contribuendo a sostenere il prezzo dell'oro".

L'Adusbef chiede che le riserve siano vendute e "ricorda che l'arroganza del Governatore ha i giorni contati: il 27 gennaio 2005 al Tribunale di Lecce si discuterà la causa promossa dal comitato per la sovranità monetaria e da Adusbef per sottrarre a Bankitalia il 'signoraggio' sulla moneta".

24/12/2004 13:13 (ANSA)

mercoledì, dicembre 22, 2004

€ 300 MLD: il caso dei "residui passivi" della Banca d'Italia

La Banca d'Italia, dopo l'ultima legge bancaria, è divenuta una SpA totalmente privata, le cui quote sociali, caso unico nelle ex banche d'emissioni europee, attualmente socie della BCE, sono detenute solo da alcuni gruppi bancari ed assicurativi, anch'essi privati.

Da ciò deriva l'insanabile e di gran lunga il più devastante conflitto d'interessi esistente poiché, la B. I. attraverso la vigilanza e sorveglianza, che ancora detiene sull'intero sistema bancario e creditizio, esercita in assoluta autonomia il controllo economico e monetario dell'intera Nazione, secondo propri fini, disgiunti, diversi e spesso contrastanti da quelli governativi. In questa situazione il ruolo dei politici, eletti democraticamente, in campo economico è ridotto a quello di semplici comparse mosse dall'attenta regia del privatissimo Istituto di Via Nazionale, retto da organismi autocratici ed autoreferenziali. Le pesanti polemiche esistenti in campo finanziario e monetario, sono tutte imputabili a questa degenerata situazione, forzatamente in atto sul teatro della politica economica nazionale, giacché la vigilanza, oltre che nei confronti delle altre banche, viene svolta anche presso quelle socie di Bankitalia stessa.

Il Governo se intende veramente governare le sorti del Paese e mantenere gli impegni assunti con gli elettori, deve agire risolutamente e rapidamente per trasferire da Bankitalia all'Esecutivo, che avendone avuto il mandato risponde del suo operato ai cittadini, la vera guida economica e per conseguenza anche quella politica dell'intera Nazione.

A riprova del conflitto istituzionale, Antonio Fazio, convinto di dover esercitare il ruolo di Governatore dell'Italia intera, invadendo campi non propri per distogliere l'attenzione dalla chiacchierata istituzione che governa, discredita pubblicamente l'operato dell'Esecutivo politico sostenendo, senza alcun pudore, che per rilanciare l'economia nazionale occorre destinare più risorse per rimettere in moto i cantieri delle "Opere Pubbliche" e ridurre il debito pubblico nazionale.

Simili affermazioni rappresentano delle ovvietà se proferite da un profano, ma sulle labbra del Governatore suonano come una beffarda provocazione.

Per ottemperare le accorate esortazioni del Governatore Fazio e quelle inerenti al "mezzogiorno" del Presidente Ciampi, nonché Governatore Onorario di Bankitalia, occorre che il Governo, in proprio ed in nome e per conto delle altre Pubbliche Amministrazioni, agisca rapidamente per rientrare in possesso delle ingentissime somme corrispondenti ai famosi "Residui Passivi" (si parla di oltre 600 mila miliardi di Lire, 120 mila miliardi solo nel 1991) allora versate ed ancora giacenti proprio nelle casse della Banca d'Italia.

L'operazione in sé risulta di vitale importanza giacché questa gigantesca massa monetaria liquida ed utilizzabile, sottratta dalla circolazione, della quale mancanza ne risente pesantemente l'economia dell'intero mercato, era destinata proprio alla realizzazione delle opere di pubblica utilità.

Questa macroscopica operazione, realizzata progressivamente, con la benedizione dei governi di sinistra e con quelli a guida di esponenti bancari, ha determinato :

- la progressiva deflazione sull'intero mercato nazionale con la caduta degli investimenti strutturali e la mortificazione del PIL (artatamente si continua a confonde l'aumento dei prezzi per inflazione)

- l'impossibilità di poter destinare alla ricerca, pubblica e privata, le indispensabili risorse finanziarie, della qual cosa i soliti "soloni", oggi, denunciano le gravi conseguenze

- l'impoverimento generale dell'intero sistema economico nazionale, sia pubblico che privato che si ripercuote direttamente ed indirettamente su tutti i cittadini.

La situazione risulta ancor più grave se si considera che mentre la circolazione monetaria si è drasticamente ridotta, il debito pubblico generato dall'emissione monetaria corrispondente alla somma dei residui passivi congelati, è stato mantenuto in essere. (dalla comparsa difensiva della Banca d'Italia chiamata in giudizio: "…come visto, la moneta viene infatti immessa nel mercato … la Banca d'Italia cede la proprietà dei biglietti, (che nulla le sono costati, salvo le spese tipografiche ndr) i quali, in tale momento, come circolante, vengono appostati al passivo nelle scritture contabili dell'Istituto d'Emissione acquistando in contropartita, o ricevendo in pegno, altri beni o valori mobiliari (titoli del debito pubblico ndr) che vengono invece appostati nell'attivo"

Pertanto o lo Stato si riappropria di queste ingentissime somme per aprire nuovi cantieri e mettere in sicurezza il disastrato territorio, ma anche per riassettare il proprio bilancio, o deve pretendere l'abbattimento del debito pubblico corrispondente all'importo della massa monetaria sparita.

Ci si augura che le pattuglie dei "fazisti", annidate nei vari schieramenti politici, sia di maggioranza che d'opposizione, non assumano il sopravvento all'interno della rispettiva compagine politica esercitando il ruolo del Cavallo di Troia per conto di "bankitalia & affini". Ciò vale in primis per AN, in virtù delle proprie radici politiche e culturali, (Quota Novanta docet), non tanto per non ricoprire il ruolo, secondo la visione poundiana, dei "camerieri dei banchieri" , quanto per essere conseguenti al consenso ricevuto dai propri elettori, sempre più sensibili alla giustizia economica e sociale.

Al danno non può essere aggiunta anche la beffa.

Savino Frigiola

sabato, dicembre 18, 2004

I segreti del Tesoro e le presenze degli uomini di Bankitalia nelle istituzioni repubblicane

In data 31.12.1995, “Il Sole 24 Ore” in un articolo “Il Tesoro elenca gli atti sottratti alla trasparenza”, informava che calava il segreto sulle categorie di atti “comunque rientranti nell’ambito delle attribuzioni del ministero e degli organi periferici in qualsiasi forma da esso dipendenti”.
In deroga alla legge sulla trasparenza degli atti amministrativi, la 241 del 1990, il decreto n. 561 del 13 ottobre 1995, pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale” n. 302 del 29 dicembre, disponeva “temporaneamente o senza limiti di tempo”, la più completa riservatezza. Dal quel momento erano top secret i documenti inerenti a sicurezza difesa nazionale e relazioni internazionali, quelli attinenti alla determinazione ed attuazione della politica monetaria valutaria; gli atti relativi all’ordine ed alla sicurezza pubblica nonché alla prevenzione della criminalità e infine quelli sulla riservatezza di persone, gruppi o imprese.
Tralascio ogni dettaglio sui documenti segretati per un anno e attiro tutta l’attenzione possibile, su quelli sottratti all’accesso per dieci e venti anni.
Per gli atti relativi alla “posizione italiana nell’ambito di accordi internazionali sulla politica monetaria e sulla politica creditizia e finanziaria”, per gli atti “preparatori del Consiglio della Comunità Europea, sui flussi finanziari di entrata e di spesa, sulle previsioni del fabbisogno dello Stato” e ….”sull’evoluzione, la consistenza, la gestione e il risanamento del debito pubblico”, la durata è di anni dieci e per altrettanti anni cala il segreto sulle simulazioni e previsioni che riguardano le misure di contenimento della spesa per interessi e, in generale, del fabbisogno del settore statale e pubblico.
Il decreto prescrive la riservatezza per la durata di venti anni dei documenti che riguardano “persone, gruppi o imprese, relazioni e denuncie degli organi e dei rappresentanti ministeriali in seno alle pubbliche amministrazioni e agli enti pubblici e privati, alle banche e alle società partecipate o controllate”.
E’ possibile attivarsi fin da ora per essere pronti, alla scadenza del decimo anno di segreto, a prendere debita visione ed intelligenza dei documenti riguardanti i flussi finanziari di entrata e di spesa, sulle previsioni del fabbisogno dello Stato e sull’evoluzione, la consistenza, la gestione e il risanamento del debito pubblico, nonché sulle simulazioni e previsioni che, in tale periodo, hanno riguardato le misure di contenimento della spesa per interessi e, in generale, del fabbisogno del settore statale e pubblico. Nel nuovo anno dobbiamo poter ottenere, da parte dello Stato, disdetta del servizio di tesoreria che la Banca d’Italia svolge per lo Stato, pena il rinnovo automatico per altri venti anni dal 2010 ed avere accesso ai documenti sui quali è stato fatto calare il segreto.
Per la cronaca, e solo per soddisfare la legittima curiosità, il Ministro in carica era Lamberto Dini che resse il ministero dal 10 Maggio 1994 al 18 maggio 1996, giorno in cui gli successe Carlo Azeglio Ciampi fino al 14 maggio 1999, quando divenne Presidente della Repubblica.
Un giorno si dovrà pur rilevare, a tutto tondo, la nutrita presenza dei Governatori e di alti funzionari di Bankitalia ai vertici delle istituzioni repubblicane. Come non ricordare Luigi Einaudi, Governatore della Banca d’Italia che fu il primo Presidente della Repubblica dopo esserne stato ministro del Tesoro, dal 31 maggio al 4 giugno 1947. Un altro Governatore, Guido Carli, è stato ministro del Tesoro dal 23 luglio 1989 al 28 giugno 1992, in seguito Presidente della Confindustria che se non è un’istituzione pubblica è pur sempre il ministero dell’Industria del governo ombra dei poteri forti, senza parlare degli uomini dell’Ufficio Studi della Banca d’Italia “prestati” alla Repubblica, da Savona a Draghi ecc. ecc.

Vittorio Soldaini 16 dicembre 2004.

lunedì, dicembre 13, 2004

Parole sagge: Henry Ford e il signoraggio

"E' un bene che il popolo non comprenda il funzionamento del nostro sistema bancario e monetario, perchè se accadesse credo che scoppierebbe una rivoluzione prima di domani mattina" (Henry Ford)

Fiat lux: Thomas Edison e il signoraggio

"Assurdo dire che il nostro paese può emettere $30,000,000 in titoli ma non $30,000,000 in moneta. Entrambe sono promesse di pagamento; ma una promessa ingrassa l'usuraio, l'altra invece aiuta la collettività"
(Thomas Edison - New York Times, 6/12/1921)

venerdì, dicembre 10, 2004

Il Sole 24 Ore e Famiglia Cristiana denunciano lo scandalo mondiale di Bankitalia SpA

Il Sole 24 Ore, Sabato 16/02/2002
COMMENTI E INCHIESTE

Le anomalie nate dalla storia
di O. C.

Crédit Agricole, Abn Amro, Allianz, Banco Bilbao Vizcaya Argentaria. Fa capo anche a questi grandi gruppi bancari stranieri la proprietà della Banca d'Italia, una società le cui azioni sono custodite nei portafogli delle principali banche italiane. Il processo di privatizzazione e di concentrazione del sistema creditizio, avviato nel 1993 e sostanzialmente concluso, ha infatti prodotto un effetto collaterale: la proprietà della banca centrale, che prima era dispersa tra decine di istituzioni e di banche pubbliche, adesso (si veda la tabella) è passata a un nucleo di società private. Controllate prevalentemente da gruppi stranieri e soprattutto dalle fondazioni di origine bancaria, che formalmente sono istituti di diritto privato.

Anomalia italiana
. La situazione italiana è del tutto anomala nel panorama mondiale. Nella maggioranza dei casi la banca centrale è posseduta interamente dallo Stato. Qualche volta è un'istituzione, non una società. Le quote in mani private rappresentano un'eccezione e comunque non superano mai il 50% del capitale.
Le azioni della banca centrale belga e quelle della banca centrale giapponese sono addirittura quotate in Borsa. Lawrence Goldberg dell'università di Miami (Stati Uniti) e Rezaul Kabir dell'università di Tilburg (Olanda) hanno provato ad analizzarne l'andamento per capire a quali variabili fosse legato. Sono arrivati alla conclusione che la performance delle azioni delle banche centrali sono modeste, nettamente inferiori a quelle degli indici di Borsa. L'azione della Banca Nazionale del Belgio, per esempio, valeva 1.850 euro nel dicembre 1998 ed era scesa a 1.600 all'inizio del 2001. Il dividend yield è stato pari in media al 3-4 per cento. La Bank of Japan valeva 100mila yen alla fine del 1998 ed era scesa a circa 65mila all'inizio del 2001.
Gli investitori non hanno, ovviamente, il potere di influenzare le scelte gestionali né di incidere sulla nomina del management (governatore e membri del board). Goldberg e Kabir dimostrano che l'andamento dei due titoli non è statisticamente dalla dinamica delle variabili macroeconomiche (tasso di disoccupazione, tasso di cambio con il dollaro, tasso di sconto, indice della produzione industriale): il rendimento è legato solo alla performance del mercato azionario. Eppure, nonostante questa evidenza, i due economisti sostengono che l'esperienza delle due banche centrali apre la strada alla possibilità che un giorno il mercato finanziario possa anche l'efficienza delle agenzie governative, comprando o vendendo azioni.
In Italia, almeno per ora, il problema non si pone. La proprietà privata delle azioni della banca centrale costituisce un'anomalia sui cui effetti concreti, peraltro, molti nutrono dei dubbi. Tanto per cominciare la Banca d'Italia ha un patrimonio netto di 30 miliardi di euro, o giù di lì, il cui rendimento è sufficiente a coprire i costi. Questo significa che non deve chiedere soldi agli azionisti, cui compete la designazione dei membri del Consiglio superiore della Banca d'Italia. La prassi vuole che, di fatto, siano il governatore e i suoi collaboratori a scegliere i personaggi da cooptare nell'organismo. Alle dei membri, che si svolgono presso le filiali, la concorrenza tra i candidati non è mai stata un fattore determinante.

Assetto proprietario. Cambierà qualcosa con il nuovo assetto proprietario? Sembra difficile che Giovanni Bazoli, Cesare Geronzi, Francesco Cesarini e Rainer Masera, presidenti delle quattro maggiori banche italiane e principali azionisti della Banca d'Italia, ordiscano complotti per impossessarsi del controllo del Consiglio superiore e pilotare da lì la nomina dei vertici. Perché è vero che formalmente la designazione del governatore tocca al Consiglio, ma la scelta della persona è una partita che riguarda il governatore uscente, il Governo e, talvolta, il Capo dello Stato.
Oltretutto la legge Ciampi sulle fondazioni bancarie ha aperto la strada al trasferimento delle azioni della Banca d'Italia dalle banche alle fondazioni che le controllano. Se ciò avverrà, la proprietà della banca centrale, pur restando formalmente ai privati, tornerà di fatto sotto il controllo della politica. Tanto più se la voluta dall'attuale ministro del l'Economia Giulio Tremonti rafforzerà il peso degli enti locali nella gestione delle fondazioni.
Ma quella della proprietà non è l'unica della Banca d'Italia. L'incarico a vita del governatore, per esempio, esiste soltanto in Danimarca oltre che in Italia (si veda la tabella). Negli altri paesi il mandato ha una scadenza che varia dai quattro agli otto anni. Solo in pochi casi è rinnovabile.
La peculiarità italiana è un bene o un male? Il mandato a vita del governatore nasce come garanzia di autonomia dal potere politico cui peraltro non mancano gli strumenti per revocare l'incarico. Adesso ci sono l'Unione europea, la moneta unica, la Bce. E un adeguamento agli standard internazionali forse gioverebbe: in fondo tra un mandato a vita, un mandato di otto anni o uno di cinque rinnovabile non c'è una grande differenza.
O.C.

Tabelle:
1.GLI AZIONISTI (vedi foto)

2.PUBBLICHE O PRIVATE (vedi foto)

3.IL MANDATO

Durata del mandato del Governatore

Indefinita: Italia, Danimarca
8 anni: Bce, Germania
7 anni: Australia, Canada, Finlandia, Irlanda, Olanda
6 anni: Francia, Grecia, Lussemburgo, Norvegia, Spagna, Svezia
5 anni: Austria, Belgio, Portogallo, Gran Bretagna, Nuova Zelanda, Giappone
4 anni: Stati Uniti

Fonte: Morgan Stanley central bank directory





"Famiglia Cristiana" 04/01/2004), pag. 22

Gli azionisti di Bankitalia
di Giuseppe Altamore (giornalista investigativo)

"Stranamente la Banca d’Italia è una società per azioni che appartiene a banche italiane e, in misura minore, a compagnie d’assicurazione. E sorprendentemente l’elenco dei suoi azionisti è riservato. Per fortuna ci ha pensato un dossier di Ricerche & Studi di Mediobanca, diretta da Fulvio Coltorti, a scoprire quasi tutti i proprietari della Banca d’Italia. Spulciando i bilanci di banche, assicurazioni eccetera, ha annotato le quote che segnalavano una partecipazione nel capitale della Banca d’Italia. Così il ricercatore è riuscito a ricostruire gran parte dell’azionariato della nostra massima istituzione finanziaria. Come si può notare, tre banche da sole "controllano" la Banca d’Italia (da R & S, Ricerche & Studi di Mediobanca, 2003, pag. 1.149)".

giovedì, dicembre 09, 2004

La rinuncia dello Stato alla sovranità monetaria

Da "La banca, la moneta e l'usura", di Bruno Tarquini (già Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello dell'Aquila), ed. Controcorrente, 2001.

Contrariamente a quanto accade nel rapporto tra Stato e cittadini con l'emissione dei titoli fruttiferi, in quello che viene a stabilirsi tra Stato e la Banca Centrale, con l'emissione della moneta bancaria (banconota), si coglie in tutta la sua drammaticità la rinuncia da parte dello Stato alla sovranità monetaria ed al conseguente esercizio del potere di "battere moneta"; si avverte sopratutto la stranezza di una situazione che poteva trovare una valida giustificazione in altri tempi, quando la moneta aveva un proprio valore intrinseco perché costituita da pezzi coniati in metalli pregiati, o quando essa, pur rappresentata da simboli cartacei, aveva tuttavia una copertura nelle riserve auree o argentee delle banche: allora era frequente che il re o il principe (cioè lo Stato), non avendo a propria disposizione risorse finanziarie (metallo pregiato) per sostenere, ad esempio, le spese di una guerra, ricorresse ai banchieri per ottenere i necessari prestiti. Ma nell'attuale momento storico, in cui la moneta è costituita soltanto da supporto cartaceo, privo di qualunque copertura aurea o valutaria, non si comprende la ragione per la quale lo Stato debba richiedere ad un apposito istituto bancario privato il mutuo, sempre oneroso, di banconote create dal nulla e prive quindi di ogni valore intrinseco, trasferendogli in tal modo, con la sovranità monetaria, non solo il potere di emettere moneta, ma anche il governo di tutta la politica monetaria, attraverso il quale, come si è già esposto, non può non influirsi in maniera assolutamente determinante su tutta la politica economico-sociale del governo nato dalla volontà popolare. Per ricorrere ad una esemplificazione estrema, ma, comunque sia, idonea a far comprendere l'entità del problema, non si capisce perché non possa essere posta in circolazione moneta statale (biglietto di Stato) anziché moneta bancaria (banconota), dal momento che, tanto, sia l'una che l'altra non sono garantite da alcuna riserva aurea o valutaria.
Peraltro è bene sapere che lo Stato, oggi, per mezzo dei propri stabilimenti della Zecca, provvede alla creazione ed alla messa in circolazione di tutta la monetazione metallica, del cui ammontare (anche se di modestissimo valore rispetto a tutto il circolante cartaceo di banconote) esso non è debitore di nessuno, tanto meno della [ndt: privata] Banca d'Italia. Così come, fino a pochi anni fa, provvedeva, nello stesso modo, alla creazione ed alla messa in circolazione di carta moneta di cinquecento lire e, prima ancora, anche di mille lire [1], neanche in relazione delle quali ovviamente sorgeva in capo allo Stato alcuna obbligazione di restituzione né di pagamento di interessi, poiché di esse lo stesso Stato non si indebitava, provvedendo direttamente alla loro creazione ed alla loro immissione in circolazione.
Questo dimostra, dunque, che lo Stato avrebbe i mezzi tecnici per esercitare in concreto il potere di emettere moneta e per riappropriarsi quella sovranità monetaria che gli permetterebbe di svolgere una politica socio-economica non limitata da influenze esterne, ma soprattutto liberandosi di ogni indebitamento [2]. E' questo, senza alcun dubbio, il più grave problema che il mondo, al di là e al di sopra di ogni divisione politica, deve affrontare e risolvere; ma intanto si sarebbe già fatto un grande passo avanti, se esso prendesse coscienza di questo problema e ne comprendesse la decisività; dalla scelta, consapevole e meditata, tra una soluzione e l'altra del problema della sovranità monetaria, dipenderà la sorte della nostra civiltà [3].

Note:

[1] Di questa carta-moneta riproduciamo nella pagina seguente quella da cinquecento lire: come si vede, essa, diversamente dalle banconote, porta l'intestazione della "Repubblica Italiana", è denominata "Biglietto di Stato a corso legale", non risulta "pagabile a vista", è firmata da funzionari statali (il Direttore Generale del tesoro ed il Cassiere speciale) e reca il visto della Corte dei Conti.

[2] Che esistano in circolazione due tipi di moneta è dimostrato dal fatto che nelle stesse tabelle della Banca d'Italia relative al denaro in circolazione, viene contabilizzata solo la "moneta del settore non statale", vale a dire la moneta del settore bancario, cioè il volume di banconote emesse in prestito allo Stato.

[3] Ci sarà pure un motivo perché in Italia circolino due tipi ("settori") di moneta: da una parte quella metallica (e fino a qualche anno fa i biglietti da mille e cinquecento lire), che lo Stato crea e mette in circolazione senza indebitarsene, e dall'altra, quella costituita dalle banconote, creata e messa in circolazione dalla Banca d'Italia e di cui lo Stato (il popolo) si indebita. Il lettore è forse già in grado di comprendere tale motivo, ma già è molto che egli sia portato a conoscenza della singolare bipartizione. [ndt: con la truffa della riserva frazionaria, si ha un ulteriore signoraggio sottratto allo Stato, quello scritturale: quello dei depositi "a vista" e delle aperture di credito]

Le foto dei biglietti
Breve storia dei miniassegni

mercoledì, dicembre 08, 2004

Nasce il partito per la riforma monetaria e la fine della truffa del signoraggio privato

Informo i lettori che è da poco nato il partito "NO EURO DEI BANCHIERI", che sta raccogliendo le firme per essere in lizza alle prossime elezioni. Si tratta di un'evoluzione del "Comitato no euro": dopo la "svolta" di Rimini l'obiettivo principale di questo neo-partito sembra essere diventato non già un'anacronistica, demagogica e generica lotta all'euro, quanto una specifica, mirata e decisa lotta alla rapina del signoraggio privato dei banchieri finalizzata alla restituzione del maltolto. Il sito www.noeuro.it purtroppo non riporta ancora gli aggiornamenti in questione. Vi terrò informati sugli sviluppi.


Nasce a Rimini il partito “No Euro dei banchieri”

RIMINI, 24 Novembre ’04 – Nel corso di un Convegno organizzativo, che ha avuto luogo a Rimini Sabato 20 Novembre ’04, cui hanno preso parte personalità del mondo economico ed esponenti di associazioni di diverse regioni d’Italia, sono state gettate le basi per la costituzione di una nuova formazione politica che si chiamerà “No Euro dei banchieri”.

Nel corso di un appassionato dibattito è stata sostenuta l’improcrastinabile necessità che lo Stato, “in nome e per conto dei cittadini”, si riappropri del valore della moneta al momento dell’emissione. Il debito pubblico, determinato quasi totalmente dall’emissione monetaria, dal signoraggio e dagli interessi passivi, impedisce l’armonico sviluppo del Paese e vanifica i propositi di buon governo, sia delle formazioni di sinistra che di destra. I raggruppamenti politici si accusano reciprocamente di incapacità, perdendo di vista la vera ragione della crisi: il disinvolto saccheggio che si determina sulle spalle di tutti i cittadini all’atto dell’emissione monetaria. Ciò non solo impedisce di soddisfare le istanze sociali, ma impoverisce il “Sistema Paese”, al punto che strati di popolazione sempre più vasti hanno serie difficoltà a sbarcare il lunario ed arrivare a fine mese.

Governo ed opposizione ignorano, o fingono d’ignorare, il perverso meccanismo dell’emissione monetaria, causa dei più grossi malesseri sociali.

«La situazione – si è sostenuto durante il dibattito – è paradossale ed insostenibile, tutti sono indebitati: Stato, Pubbliche Amministrazioni, aziende d’ogni tipo, industrie grandi e piccole, artigiani, commercianti, famiglie, privati cittadini; ma a favore di chi? Chi è il creditore di questo immane debito? Gli elettori, anche se ancora non hanno ben compreso da che parte giunge la fregatura, sentono, avvertono, percepiscono che l’attuale sistema politico, nel suo insieme, risulta inidoneo a risolvere le grandi problematiche della Nazione.

«Man mano che cresce questa consapevolezza, che purtroppo tende a scivolare verso la rassegnazione, aumenta di pari passo il numero degli elettori che, constatata l’inutilità di votare, sia per la destra che per la sinistra, disertano le elezioni. Gli effetti della crisi sono destinati a crescere. Occorre predisporre per gli elettori un polo alternativo di riferimento, anche per scongiurare eventuali turbative nell’ordine pubblico. Non è casuale se sin dalle ultime elezioni europee, normali cittadini e consumatori, sentendosi non più rappresentati e tutelati da alcuna formazione politica, hanno deciso di scendere in campo per sostenere in prima persona le loro istanze politiche, sociali e solidali.»

A tale proposito Renzo Rabellino, Presidente del comitato No Euro dei Banchieri, Diego Volpe Pasini, rappresentante dell’Associazione Consumatori Codacons, e rappresentanti di altre associazioni economiche, si sono incontrati ed hanno deciso di unire le proprie forze per sviluppare sinergie, per obbiettivi comuni, se del caso affrontare uniti le prossime elezioni regionali.

Al termine del dibattito si è provveduto alla nomina di Comitato nazionale organizzativo cui fanno parte Renzo Rabellino, Presidente, e Savino Frigiola, vice presidente vicario, con il compito di organizzare l’Assemblea costituente del nuovo Movimento politico, da tenersi a Roma o Milano, entro i primi mesi del prossimo 2005.

[AP - 24/11/2004]

venerdì, dicembre 03, 2004

Il Procuratore Generale Tarquini spiega la truffa di Bankitalia

Da “La banca, la moneta e l’usura – La Costituzione tradita”, di Bruno Tarquini [*], già Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello dell'Aquila (ed. Controcorrente, Napoli 2001)

"Le anomalie di un bilancio
[…] la Banca d’Italia, nei propri bilanci, iscrive tra le poste passive la moneta che immette in circolazione. Questo ritiene di poter fare in virtù di un mero gioco di parole, che si risolve in definitiva in una presa in giro del popolo, sfruttando in modo truffaldino la formula che ancora si trova scritta sulle banconote (“Lire centomila – pagabili a vista al portatore” – firmato “Il Governatore”) e che, oggi, non avrebbe più alcuna ragione di essere, perché non significa nulla [1].

Infatti si tratta di un’obbligazione che l’istituto bancario si assumeva nel passato (nel tempo, cioè, in cui vigeva la convertibilità del biglietto di banca in oro) di convertire appunto la carta moneta nel metallo prezioso che ne costituiva la garanzia (base aurea).

Nei tempi attuali, in cui quella convertibilità è stata abolita ed è stato imposto il corso forzoso della moneta cartacea, quella “promessa di pagamento a vista” ha perduto ogni contenuto e non può, quindi, avere alcun valore. Tuttavia la Banca d’Italia ritiene ancora di potersene avvalere, confidando che la mera apparenza, che ancor oggi conservano i biglietti di banca, di cambiali a vista, e quindi formalmente di debito, le possa consentire legittimamente di considerare la moneta immessa in circolazione come una propria passività da iscrivere in bilancio tra le poste passive. Ed è noto come l’aumento artificioso del passivo, in un bilancio societario, determini un illecito annullamento dell’attivo [2].

Quindi l’Istituto di Emissione immette in circolazione banconote che sono non solo prive di alcuna copertura (neanche parziale) o garanzia, ma anche strutturate come false cambiali, che da un lato offrono una parvenza di legalità alla loro iscrizione nel passivo dell’azienda, dall’altro costituiscono un “debito inesigibile”, come affermano le stesse autorità monetarie, inventando una fattispecie giuridica di cui facilmente si può misurare l’assurdità. A parte, infatti, che la inesigibilità non può che riguardare il credito (perché è questo che, caso mai, non può essere esatto), con la formula del “debitore inesigibile” si fa decidere allo stesso debitore di non pagare il debito.

Una cosa è dire che “il credito” è inesigibile perché il debitore non può pagare, altra cosa è invece dire che esso è inesigibile perché il debitore (la Banca Centrale) per legge ha la garanzia di non dover pagare.

Riassumendo, delle due l’una: o la Banca d’Italia non è proprietaria della moneta al momento dell’emissione (come hanno affermato i rappresentanti del governo rispondendo alle interrogazioni parlamentari) ed allora appare del tutto ingiustificato che ne tragga un utile, tanto più che la banca stessa assume di essere debitrice dei simboli monetari emessi, così da iscriverli come posta passiva nel proprio bilancio; oppure la Banca Centrale (contrariamente a quanto dichiarato dai due Sottosegretari di Stato) è proprietaria di quella moneta e con giustificazione (solo apparente) ne ritrae un utile dal suo prestito al sistema economico nazionale, ma allora assume i contorni di un fatto illecito far figurare come poste passive operazioni che sono invece indubbiamente attive."

Note:

[*] Bruno Tarquini è nato ad Avezzano (L’Aquila) nel 1927. Laureatosi in giurisprudenza nel 1948 presso l’Università di Roma, è entrato giovanissimo in magistratura, percorrendone tutti i gradi. E’ stato pretore a Roma e, dal 1955, al Tribunale di Teramo, prima come giudice, poi come presidente; nel 1986 è stato trasferito alla Corte d’Appello dell’Aquila, dove ha svolto le funzioni di presidente della sezione penale e della Corte d’Assise di secondo grado, infine, nel 1994, è stato nominato Procuratore Generale della Repubblica presso la stessa Corte d’Appello. Gli studi giuridici e l’attività professionale non gli hanno impedito di alimentare le sue curiosità intellettuali, con particolare riguardo alla storia.

[1] Provi il cittadino a presentarsi ad uno sportello qualsiasi della Banca d’Italia, esibisca una banconota contenente quella (ormai inutile) promessa di pagamento e chieda di essere “pagato a vista”. E’ probabile che venga preso per matto!

[2] Sarebbe di certo giuridicamente infondato sostenere la legittimità della indicazione nel passivo della moneta al momento della emissione (ed a maggior ragione durante la sua circolazione), facendo ricorso a quanto stabilisce l’art.2424 del codice civile, secondo il quale il bilancio delle società per azioni deve indicare nel passivo (tra l’altro) anche “il capitale sociale al suo valore nominale…”, poiché non vi è alcun dubbio che nella massa di moneta creata e messa in circolazione dalla Banca Centrale non può sicuramente identificarsi il capitale sottoscritto e depositato dagli azionisti (“partecipanti”), dei quali costituisce un credito e,
quindi, per la società un debito. Quella moneta la stessa Banca d’Italia – come si dirà più oltre – la definisce “merce”.