Fazio addio
EDITORIALE
di MARLOWE
Dicono che Antonio Fazio da un po' di giorni sia depresso e di umore nero. Dicono anche che il governatore di Bankitalia stia meditando un gesto clamoroso: le dimissioni. In effetti quella appena passata è stata una settimana nerissima per Fazio che dopo l'incontro di una quindicina di giorni fa con Berlusconi era convinto di essere entrata nel regno degli «intoccabili». Invece durante i lavori in commissione una alleanza trasversale gli ha dato un bel colpo e ancora più duro -quasi mortale - è il colpo all'istituzione che ritiene di rappresentare. Negli ultimi anni Fazio ha perso parecchi consensi. Sia all'interno che all'esterno della banca. All'interno perché ha concentrato su di se tutto il potere emarginando gli altri componenti del direttorio che ora si appresterebbe a modificare per inserire uomini fidati. Il governatore si è messo contro anche i sindacati - storicamente filoaziendali - che martedì hanno minacciato una raffica di scioperi contro la pretesa di rivedere unilateralmente gli accordi negoziali dell'Istituto. Altra accusa a Fazio è l'eccessiva loquacità. Rispetto ai tempi di Carli quando il governatore parlava 3 volte l'anno, con Fazio gli interventi si sono decuplicati. Così come i richiami a Tommaso d'Aquino: troppa loquacità fa perdere prestigio e autorevolezza. Ma è sul fronte esterno che le difficoltà per Fazio sono diventate gigantesche. L'accusa è di fare il «gioco delle tre carte». Nel 2001 alleato di Berlusconi e Tremonti; poi critico; poi vittima del tremontismo e della sua volontà di mettere le mani su Bankitalia. In mezzo a tutto questo la perdita di ogni autorità sul versante della gestione della moneta a favore della Bce e quindi una fortissima riduzione del potere di Bankitalia. Che di fatto. ormai si riduce solo ai temi della concorrenza bancaria (dove i giochi di Fazio - ci dicono - sono parecchio spregiudicati) a quelli della gestione della centrale rischi e della vigilanza.
Uscito Tremonti dal governo, Fazio ha giocato la carta del riavvicinamento a Berlusconi. Nell'incontro di un paio di settimane fa a palazzo Chigi aveva ottenuto dall'amico Silvio praticamente tutto. Cioè che il governo appoggiasse la sua posizione (rispetto alla legge sulla difesa del risparmio) in tema di concorrenza bancaria e di nomina a tempo indeterminato del governatore. Nulla di scandaloso, ovviamente. Forse giusto. Ma Fazio (e Berlusconi) non hanno fatto i conti con una sinistra vendicativa che si è un po' stufata del governatore e con una destra (da Tabacci a La Malfa e alla Lega) che al governatore hanno voluto dare una lezione, anche a costo di affossare la Banca d'Italia.
Ora Fazio spera in un intervento di Berlusconi e soprattutto di Gianni Letta per cercare di rimediare alla batosta subita. E per farlo si appiattisce sempre di più sul governo. Il governatore, dicono, in questi giorni è triste e medita di fare come Cincinnato: sarebbe un bene per Bankitalia se le dimissioni fossero presentate sul serio.
(il manifesto, 28/1/2005)
di MARLOWE
Dicono che Antonio Fazio da un po' di giorni sia depresso e di umore nero. Dicono anche che il governatore di Bankitalia stia meditando un gesto clamoroso: le dimissioni. In effetti quella appena passata è stata una settimana nerissima per Fazio che dopo l'incontro di una quindicina di giorni fa con Berlusconi era convinto di essere entrata nel regno degli «intoccabili». Invece durante i lavori in commissione una alleanza trasversale gli ha dato un bel colpo e ancora più duro -quasi mortale - è il colpo all'istituzione che ritiene di rappresentare. Negli ultimi anni Fazio ha perso parecchi consensi. Sia all'interno che all'esterno della banca. All'interno perché ha concentrato su di se tutto il potere emarginando gli altri componenti del direttorio che ora si appresterebbe a modificare per inserire uomini fidati. Il governatore si è messo contro anche i sindacati - storicamente filoaziendali - che martedì hanno minacciato una raffica di scioperi contro la pretesa di rivedere unilateralmente gli accordi negoziali dell'Istituto. Altra accusa a Fazio è l'eccessiva loquacità. Rispetto ai tempi di Carli quando il governatore parlava 3 volte l'anno, con Fazio gli interventi si sono decuplicati. Così come i richiami a Tommaso d'Aquino: troppa loquacità fa perdere prestigio e autorevolezza. Ma è sul fronte esterno che le difficoltà per Fazio sono diventate gigantesche. L'accusa è di fare il «gioco delle tre carte». Nel 2001 alleato di Berlusconi e Tremonti; poi critico; poi vittima del tremontismo e della sua volontà di mettere le mani su Bankitalia. In mezzo a tutto questo la perdita di ogni autorità sul versante della gestione della moneta a favore della Bce e quindi una fortissima riduzione del potere di Bankitalia. Che di fatto. ormai si riduce solo ai temi della concorrenza bancaria (dove i giochi di Fazio - ci dicono - sono parecchio spregiudicati) a quelli della gestione della centrale rischi e della vigilanza.
Uscito Tremonti dal governo, Fazio ha giocato la carta del riavvicinamento a Berlusconi. Nell'incontro di un paio di settimane fa a palazzo Chigi aveva ottenuto dall'amico Silvio praticamente tutto. Cioè che il governo appoggiasse la sua posizione (rispetto alla legge sulla difesa del risparmio) in tema di concorrenza bancaria e di nomina a tempo indeterminato del governatore. Nulla di scandaloso, ovviamente. Forse giusto. Ma Fazio (e Berlusconi) non hanno fatto i conti con una sinistra vendicativa che si è un po' stufata del governatore e con una destra (da Tabacci a La Malfa e alla Lega) che al governatore hanno voluto dare una lezione, anche a costo di affossare la Banca d'Italia.
Ora Fazio spera in un intervento di Berlusconi e soprattutto di Gianni Letta per cercare di rimediare alla batosta subita. E per farlo si appiattisce sempre di più sul governo. Il governatore, dicono, in questi giorni è triste e medita di fare come Cincinnato: sarebbe un bene per Bankitalia se le dimissioni fossero presentate sul serio.
(il manifesto, 28/1/2005)
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