venerdì, gennaio 14, 2005

Il bene moneta

di Gianfranco Venturi
venturigian@tiscali.it

Il termine “bene” applicato ad oggetti di valore indica chiaramente come essi siano stati storicamente considerati una comodità con esternalità positive. Tra questi beni, ve ne sono di necessari e di superflui. E tra i necessari, si distinguono quelli necessari al corpo fisico (es.cibo) e quelli necessari al corpo sociale (es.abitazioni,utensili). Ma in una società con frequenti scambi di beni e servizi (come la nostra società moderna) esiste un bene che più di tutti risulta essere necessario non solo al corpo sociale ma anche al corpo fisico: il bene moneta.

Tale bene infatti è il “mezzo” utilizzato nelle società moderne per raggiungere il “fine” dello scambio. Scambio che, in una società che riconosce la proprietà privata, diviene necessario non solo per il funzionamento del corpo sociale ma anche per la sopravvivenza del corpo fisico stesso (sempre che si rispetti la proprietà privata altrui).

Si comprende quindi come un mezzo (al fine) dello scambio diventi necessario nelle società moderne.

Ma, come in ogni situazione umana, si pone il problema del potere: chi decide?

In questo caso, la decisione riguarda la produzione del bene mezzo di scambio, cioè del bene moneta, e la conseguente proprietà dello stesso bene prodotto.

Il bene moneta, nato storicamente come bene privato di valore elevato (valore sociale/convenzione “reale”/uso o consuetudine/legge derivante da uso o consuetudine; si pensi ad esempio all’oro) con la sua utilizzazione come unico bene di scambio legale (valore sociale qualsiasi, anche nullo, ma con valore legale/convenzione “astratta”/legge non derivante da uso o consuetudine) è divenuto un bene pubblico.

La tradizionale divisione sull’origine del valore della moneta tra “monetarism” (secondo cui il valore della moneta deriva dal valore intrinseco del bene) e “chartalism” (secondo cui il valore della moneta deriva dall’imposizione dell’autorità) è quantomeno quindi antistorica: si tratta infatti di due diverse fasi storiche dello sviluppo del concetto di moneta, e non di due teorie in contrasto tra loro. Tali due scuole di pensiero corrispondono rispettivamente ad un considerare l’origine del bene moneta come bene privato (monetarism) o come bene pubblico (chartalism). La realtà storica mostra che, sebbene la moneta sia nata (analisi temporale) come bene privato, l’origine (fonte) del suo valore (analisi atemporale) è multipla: può derivare dal suo valore intrinseco così come da un’imposizione autoritaria.

Confusione sulla questione monetaria è spesso generata anche dalle funzioni che si attribuiscono solitamente alla stessa: unità di conto, mezzo di scambio e riserva di valore.

Come visto sopra, la moneta è un bene, un oggetto di valore. E solo una cosa reale, sensoriale può essere oggetto di valore, cioè di misurazione. Misura e valore sono infatti sinonimi: non vi è misura se non per misurare il valore (quantitativo o qualitativo) di qualcosa ed allo stesso modo non vi è valore se esso non può essere misurato, altrimenti non vi sarebbe comparabilità (qualitativa o quantitativa). Valorizzare e misurare significano cioè “creare una comparabilità tra essenze definite”. Non ogni cosa può essere comparata con le altre, e quindi non ogni cosa può fungere da bene moneta. In particolare, solo una cosa sensorialmente reale può essere comparata con tutte le altre, dato che il concetto di comparazione presuppone la reale finitezza degli oggetti comparati: non è possibile comparare ciò che non ha un limite. E la limitatezza è un concetto esclusivamente reale (l’immaginario è invece per definizione immaginato e non corrispondente al reale: esso è non conosciuto sensorialmente, ed essendo non conosciuto(definito) è anche di conseguenza non comparabile).

Il bene moneta può quindi essere solo un oggetto reale. La funzione di mezzo di scambio presuppone la finitezza reale dell’oggetto, così come la funzione di riserva di valore. Non è così invece per la funzione di unità di conto, cioè di misura del valore.

L’unità di conto è una costruzione immaginaria, è un semplice nome (che può o meno coincidere con il nome dato al bene moneta) che, in quanto essenza finita, è manipolabile quantitativamente (divisibile, moltiplicabile, sottraibile, addizionabile). E tale nome immaginario non è moneta (che è reale) ma solo uno strumento immaginario applicato al bene moneta (storicamente si creava una “moneta” immaginaria per manipolare quantitativamente beni moneta non facilmente manipolabili quantitativamente nella realtà, es.metalli).

La moneta quindi non è misura del valore (concetto immaginario), ma è un mezzo di scambio che, in quanto bene reale, è anche riserva di valore (può cioè essere accumulato).

Il bene moneta, infatti, di per sé è un bene come un altro. Si tratta fondamentalmente di un bene accettato per il pagamento dei debiti (tra privati o verso la comunità, es.imposte), il cui accumulo costituisce un potenziale credito (potenziale perché non vi è la certezza che continui ad essere accettato per sempre dalla gente).

E’ tale errata definizione della moneta come unità di conto che ha generato nella mente umana la possibilità della moneta come “essenza immaginaria”, come bene che non ha bisogno di essere scambiato realmente per svolgere la sua funzione. La moneta è invece un bene reale, ed un corretto sistema monetario si basa su moneta al 100% reale (ad es. monete metalliche e banconote), senza la possibilità di creazione ex nihilo di moneta attraverso un qualche meccanismo, quali la riserva frazionale bancaria.

Tornando quindi alla nostra domanda: chi decide riguardo alla produzione ed alla conseguente proprietà del bene moneta? La risposta è: dipende. Dipende dal contesto socio-politico, dal tipo di società cioè esistente in quel momento. Se si vive in una società in cui predomina l’anarchia o l’assenza di principi costituzionali civili in difesa dell’uguaglianza dei cittadini nella e davanti alla legge, allora la produzione e la proprietà della moneta non hanno alcun vincolo legislativo e possono essere svolte ed appartenere a chiunque, privato o autorità. E rimane altresì legale (sebbene non giusta) la libertà monetaria in quelle comunità politiche che vincolano i membri della stesse all’utilizzo di un unico mezzo di scambio ufficiale ma che non prevedono tra i loro principi cardine la difesa ed il rispetto dell’uguaglianza dei cittadini nella e davanti alla legge.

La contraddizione odierna, almeno in quegli Stati che si proclamano di diritto, civili e democratici, è la presenza nella loro Costituzione del principio della difesa dell’uguaglianza dei cittadini (vedi art.3 Costituzione Italiana) e la contemporanea presenza di un monopolio legale quale quello monetario in mano a privati (attraverso la creazione di moneta sia da parte della banca centrale sia da parte delle banche commerciali). Lo Stato, in quanto organo super partes e rappresentante di tutta la cittadinanza, proprio per rispetto del principio di uguaglianza di cui si fa promotore, non dovrebbe concedere tali privilegi ad alcuni cittadini. E’ solo su questa contraddizione che si può fare appello per una riforma monetaria legale e coerente con i principi dello Stato politico-sociale di cui facciamo parte.

In una società civile e democratica che proclama l’uguaglianza dei cittadini nella e davanti alla legge non è coerentemente accettabile un monopolio legale non pubblico, in quanto in contrasto con lo stesso principio di uguaglianza nella e davanti alla legge dei cittadini. E questo vale naturalmente anche per il monopolio del bene moneta.

In uno Stato di diritto, civile e democratico (il cui il principio di uguaglianza nella e davanti alla legge è incluso), solo la comunità, attraverso suoi rappresentanti democraticamente eletti, può produrre il bene moneta e gestirne l’offerta a seconda della domanda della stessa (domanda intesa come quantità di beni e servizi prodotti e non come semplice “desiderio umano”), al fine di mantenere costante il valore del bene moneta.

E solo la comunità, nella stessa situazione socio-politica di cui sopra, può ritenersi proprietaria del bene moneta in quanto monopolio pubblico necessario per i motivi di cui sopra.

Il fine (scambio) non sempre giustifica i mezzi (tipo di moneta). Ed il mezzo odierno ci pare proprio confermare l’errore machiavelliano.